Sul palco dell’Ariston, Ghali ha presentato “Casa mia”, una canzone che unisce introspezione e denuncia sociale, attraverso un testo ricco di immagini evocative e riflessioni profonde. Il brano, scritto da Ghali Amdouni insieme a Davide Petrella e M. Zocca, si distingue per la sua capacità di toccare temi personali e universali al tempo stesso.
Fin dalle prime strofe, il testo dipinge un paesaggio idealizzato: “Il prato è verde, più verde, sempre più verde” e “il cielo è blu, molto più blu”. Ma dietro questa apparente serenità, si cela una realtà ben più complessa. Ghali si rivolge a un interlocutore indefinito, forse a se stesso, forse al pubblico, domandando: “Ma che ci fai qui da queste parti? Quanto resti e quando parti?”. C’è un senso di transitorietà, di relazioni sfuggenti e di un tempo che sembra sempre troppo breve per dirsi davvero addio.
La canzone mette in luce l’alienazione dell’era moderna, dove “siamo tutti zombie col telefono in mano”, e i sogni sembrano dissolversi “in mare”. C’è un chiaro riferimento al tema dell’immigrazione, dell’identità e della difficoltà di sentirsi veramente “a casa” in un mondo frammentato. Il cantante si chiede cosa potrà raccontare ai propri figli, evocando l’immagine del “Truman Show”, una vita osservata e condizionata, lontana dall’autenticità.
“Casa mia” si interroga sul significato profondo della parola “casa”. “La strada non porta a casa se la tua casa non sai qual è”, canta Ghali, sottolineando quanto sia difficile trovare un luogo a cui appartenere quando le proprie radici sono incerte. Eppure, emerge una speranza: “Sto già meglio se mi fai vedere il mondo come lo vedi tu”. Non servono astronavi per viaggiare, basta cambiare prospettiva.
Il ritornello si ripete come un mantra, rafforzando l’idea che i confini sono concetti costruiti, spesso assurdi, che dividono l’umanità più di quanto non la proteggano. “Casa mia, casa tua, che differenza c’è?”, chiede il cantante, per poi ribadire: “Dal cielo è uguale, giuro”. Un messaggio potente che invita all’empatia, al superamento delle barriere e alla riscoperta dell’umanità comune.
Nella parte finale del brano, Ghali accenna anche alle tensioni dei quartieri difficili, dove il conflitto è quotidiano: “Mi manca la mia zona, mi manca il mio quartiere. Adesso c’è una sparatoria”. Senza scadere nella retorica, denuncia la normalizzazione della violenza, rifiutando la rassegnazione: “Ma come fate a dire che qui è tutto normale?”.
Con “Casa mia”, Ghali dimostra ancora una volta di essere uno degli artisti più sensibili e lucidi della scena italiana. Il suo brano non è solo una canzone, ma una dichiarazione di intenti, un invito a guardare il mondo con occhi diversi, a interrogarsi su cosa davvero significhi sentirsi “a casa”. In un’Italia e in un mondo sempre più divisi, la sua voce risuona forte e necessaria.